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11 aprile 2002
 
Pisa, per esempio...
Difficile parlarne. Non ha le maníe di grandezza fiorentine, lo squallore pieno d'umanità di Livorno, la coerenza mummificata di Lucca.
Pisa esibisce sfrontata bellezza e cicatrici, virtuosismi di marmo e bassezze sconfortanti.

Le voragini dei bombardamenti furono colmate con quel che capitava: palazzi tirati su con gli stessi criteri che spinsero tanti contadini a buttare i vecchi mobili per riempire la casa di fòrmica e compensato.
Ricostruire la città esattamente com'era prima della guerra sarebbe stato assurdo, però quando vedo certe facciate cementoarmate del Lungarno mi si stringe lo stomaco. Esattamente come mi capita di fronte ai prodotti della successiva smania restaurativa, quando tutto doveva essere riportato "a vista" e nel suo "aspetto originale". Che di originale non ha nulla perché, vedi, quell'arco lì lo fecero soltanto per sostenere il muro sopra la porta e se avessero avuto a disposizione una grossa, volgare putrella di ferro se ne sarebbero strafregati delle tue esigenze estetiche e... vedi queste scanalature scavate a forza di scalpello nella pietra? (QUI! dove guardi?!?) pensi che abbiano faticato tanto perché così è più carino oppure volevano far aderire meglio l'intonaco? (l'interlocutore immaginario è un architetto sui generis, mi ascolta mogio mogio e annuisce, poco convinto e molto immaginario).
Il simbolo di questa scellerata ossessione è Palazzo Lanfranchi; la facciata scarnificata grida vendetta sul Lungarno di Mezzogiorno, le cornici e le modanature seicentesche(?) galleggiano irreali sulla superficie di mattoni "a vista".
Sembrerebbe che i pisani ad un certo punto della loro storia abbiano perso gusto e creatività. Se così fosse sarebbero dolori, perché i pisani sono tosti. Apparentemente la città è viva e cosmopolita: il turismo, l'Università e le caserme popolano Pisa di un'umanità varia e stimolante. Invece questi flussi scorrono su piani separati rispetto allo zoccolo duro cittadino, indifferente e un po' scostante.
Ma Pisa è bella. Le perdoni tutto quando esci dai tanfi di un vicolo e ti siedi al sole in Piazza dei Cavalieri, davanti alla Scuola Normale che basta guardarla per sentirti un sapiente. Quando scalci il tappeto di foglie secche in Piazza Santa Caterina. Quando sbirci da un cancello e lì, in mezzo alla città, c'è un angolo intatto di campagna ottocentesca completo di orto curatissimo, viottolo sterrato e vecchietto che zappetta in panciotto e cappello di paglia.




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